La prima guerra mondiale si era conclusa con un bilancio spaventoso: secondo le stime ufficiali almeno dieci milioni di morti (6-700.000 in Italia); a questi bisogna però aggiungere un numero enorme di mutilati, invalidi e ammalati di tubercolosi nelle trincee che andarono poi ad ingrossare il numero delle vittime. La popolazione, stremata dagli stenti bellici, venne poi decimata dalla diffusione della febbre “spagnola” (ben 40-50 milioni di morti).
Mezza Europa era scossa da moti rivoluzionari: nel febbraio 1917 la Russia, nel novembre 1918 Germania e Austria (con la proclamazione della repubblica), in Ungheria veniva addirittura proclamata la “repubblica dei soviet” (marzo 1919). In questo clima anche l’Italia era percorsa da forti agitazioni popolari e la possibilità di “fare come in Russia” sembrava a portata di mano. Era l’inizio del “Biennio Rosso”.
La prima grande manifestazione popolare postbellica a Milano si tiene il 19febbraio 1919 al Castello Sforzesco. Quasi centomila persone vengono arringate da oratori socialisti e dagli anarchici Armando Borghi, Virgilia D’Andrea, Randolfo Vella. Tra le richieste degli oratori la liberazione del direttore dell’”Avanti!” Serrati (allora in carcere) ed il ritorno dall’esilio di Errico Malatesta. Sembra l’inizio della Rivoluzione proletaria, ma la “controrivoluzione preventiva” è dietro l’angolo e si annuncerà tragicamente il 15 aprile successivo.
Gli eventi di questa giornata sono ora ricostruiti, con ricchezza di particolari e di documentazione, da Marco Rossi (“Morire non si può in aprile. L’assassinio di Teresa Galli e l’assalto fascista all’”Avanti !”. Milano 15 aprile 1919”, Zero in condotta, 2019, 10,00 Euro).
Il 13 aprile si tiene un comizio socialista in largo Garigliano, concluso dall’uccisione di un dimostrante (Giovanni Gregotti) da parte della polizia. Ne segue uno sciopero generale. Nel pomeriggio del 15 aprile si riunisce all’Arena una grande dimostrazione popolare. L’intenzione dei socialisti è esplicitamente quella di concludere così la protesta, ed infatti non viene consentito agli anarchici di parlare.
Anarchici e socialisti rivoluzionari decidono però di proseguire la dimostrazione ed un folto corteo non autorizzato si muove verso piazza Duomo, portando bandiere rosse e nere e cartelli coi ritratti di Lenin e di Malatesta. Nel corteo è attestata la presenza anche di militari in divisa e persino di alcuni arditi (p. 30). D’altra parte lo stesso Mario Perelli (in seguito comandante partigiano anarchico) ricorderà di aver partecipato al corteo “ancora vestito da soldato”.
In piazza Duomo si riunisce intanto una contro-manifestazione nazionalista. Spiccano tra i dimostranti i futuristi di Marinetti, gli arditi di Ferruccio Vecchi e i fascisti. Da notare che il Movimento dei fasci di combattimento si è costituito solo poche settimane prima (il 23 marzo) con un programma apparentemente ultra-rivoluzionario: repubblica, esproprio dei beni della chiesa, voto alle donne. Già questa prima uscita pubblica rivelerà la vera natura del fascismo, destinato a diventare rapidamente forza egemone della reazione.
Oggi le antologie scolastiche ricordano Filippo Tommaso Marinetti solo come poeta e come letterato. Lui stesso, nei ricordi di quella giornata (p. 89-92) svela la sua natura di freddo sicario, pronto a sparare anche sulla folla inerme. All’arrivo in via Mercanti del corteo futuristi, arditi e fascisti si scagliano sui dimostranti sparando all’impazzata. I cordoni di carabinieri che presidiano l’accesso a piazza Duomo si aprono come d’incanto per lasciare passare gli aggressori. “Fu una pura e semplice imboscata” ricorda Perellii.
Lo scontro è impari. Gli aggressori sono armati di tutto punto, i dimostranti in modo approssimativo e sommario. Nell’aggressione rimangono uccisi la diciannovenne Teresa Galli, operaia della Bovisa, colpita da un proiettile alla nuca, il diciottenne Pietro Bogni e il sedicenne Giuseppe Luccioni, anch’essi colpiti da un proiettile alla testa (p. 49-50). Numerosi i feriti, quasi tutti operai.
Bogni e Luccioni verranno poi sepolti con rito religioso, Teresa Galli invece avrà un rito civile e sarà accompagnata al cimitero dalle bandiere del circolo socialista della Bovisa (p. 75): viene ricordata oggi come la prima donna assassinata dai fascisti,
La furia devastatrice non si conclude qui, futuristi, arditi e fascisti muovono in corteo verso la redazione dell’”Avanti!” in via San Damiano e la distruggono completamente, sotto lo sguardo compiacente del reparto militare che dovrebbe difenderla. Anzi, il comandante del reparto si recherà poi in serata in visita amichevole alla sede fascista!. Nei giorni di sciopero avvengono oltre seicento arresti, quasi tutti nelle file sovversive.
L’impressione in città è enorme. Perelli ricorda di aver proposto ad alcuni amici socialisti di compiere una rappresaglia lanciando nottetempo alcune bombe a mano sulla sede del fascio e di fronte alla loro passività (imposta dal partito) di aver sbottato: “Voi siete una massa di coglioni (…) se incominciate a buscare ve ne daranno delle altre” (p. 63). Profezia puntualmente verificatisi.
Marco Rossi riporta anche la testimonianza dell’ardito Vittorio Ambrosini (p. 98) sdegnato per la pingue somma di denaro versata dagli industriali milanesi agli squadristi, come premio per l’assalto al quotidiano socialista. La giornata del 15 aprile (in seguito celebrata dal regime come inizio della “rivoluzione” fascista) segna del resto le prime fratture nell’ambito dell’arditismo che porterà poi molti ex militari a confluire negli “Arditi del popolo”.
Secondo Luigi Fabbri tre sono stati i momenti in cui l’agitazione popolare avrebbe potuto innescare la rivoluzione proletaria: i moti contro il caroviveri (luglio 1919), la rivolta di Ancona (giugno 1920) e l’occupazione delle fabbriche (agosto-settembre 1920). Perse queste occasioni a causa della colpevole passività socialista la strada rimase aperta alla “controrivoluzione preventiva” fascista.
Il volume, chiaro e preciso, è corredato anche da una breve analisi dello sviluppo storico del quartiere popolare della Bovisa, curato da Alessandro Pellegatta e, allo stesso Pellegatta, va il merito di ave ritrovato “il luogo di sepoltura e la casa di Teresa Galli” (p. 4).
Mauro De Agostini